Raffaele Sollecito racconta nuovi dettagli sull’omicidio di Meredith Kercher: errori investigativi e le umiliazioni subite in carcere.
Nel corso dell’ultima puntata di di Pulp Podcast, Raffaele Sollecito torna a raccontare la sua esperienza legata al delitto di Perugia. Accusato ingiustamente insieme ad Amanda Knox dell’omicidio di Meredith Kercher, ripercorre le fasi più drammatiche della vicenda. In passato, l’uomo ha anche difeso Alberto Stasi e ha dichiarato di avergli scritto una lettera.

Meredith Kercher: le pressioni e gli errori degli inquirenti
Nel podcast, come riportato da Fanpage, Raffele Sollecito sottolinea come elementi potenzialmente decisivi siano stati ignorati dalle autorità investigative. Tra questi, la presenza di un liquido seminale rinvenuto sul cuscino accanto al corpo di Meredith Kercher.
“Se si fosse analizzato quel campione di sperma trovato sul cuscino, si sarebbe potuto chiudere tutto fin da subito. Ma dissero che era ‘vecchio’ e non lo verificarono mai. Se fosse risultato di Guede, la nostra posizione sarebbe stata completamente diversa“, ha spiegato. Un’omissione che, secondo Sollecito, avrebbe potuto cambiare radicalmente il corso delle indagini.
Racconta anche di come, poco prima di essere interrogato, avesse fumato uno spinello, cosa che gli rese difficile ricordare i dettagli della sera precedente. L’interrogatorio si svolse senza la presenza di un avvocato. Amanda Knox, aggiunge, fu invece “convinta da una medium a dire il falso” e coinvolse un innocente, Patrick Lumumba.
Ricorda anche l’errore legato a un’impronta insanguinata attribuita a una scarpa Nike, compatibile con le sue: “Ma non verificarono nemmeno la misura. Erano troppo concentrati a cercare conferme alle loro ipotesi“.
Le umiliazioni subite da Raffele Sollecito
Raffele Sollecito ha raccontato anche episodi di umiliazioni subite in carcere, come il prelievo di peli pubici per analisi mai effettuate: “Erano inutili senza il bulbo, lo sapevano. Ma serviva per umiliarmi“. E, mentre oggi i riflettori sono puntati su Alberto Stasi, conclude con una riflessione sulla giustizia e il clamore mediatico: “Diffidiamo della caciara. Le urla non fanno giustizia. E spesso, nel clamore, le verità più semplici vengono sepolte“.